Da Roma a Corcolle: l’emergenza rifiuti che sommerge la Capitale
Un'emergenza subdola, strisciante, ancor più pericolosa per il fatto che non si vede. Quella di Roma è una crisi rifiuti non meno grave di quella di Napoli. Gli elementi di base sono identici, con una sola variante: gli interessi privati di un imprenditore monopolista, comunque lontano dagli ambienti della criminalità organizzata, in luogo dello scempio causato dalle ecomafie in Campania. Nella Capitale i rifiuti in strada non si sono mai visti. Le foto che ritraevano Castel dell'Ovo sulla sommità di una montagna di pattume non si sono replicate con il Colosseo. Perlomeno non ancora. Perché ora la situazione rischia di scoppiare. E a fine giugno Roma rischia di vedere l'immondizia sommergere oltre 2000 anni di storia. Più o meno quello che è successo 200 chilometri più giù. Tentiamo di mettere un po' di ordine nel caos che sta andando avanti dal lontano 1999.
MALAGROTTA: L'ILLEGALITÀ FATTA DISCARICA – Erano i tempi del Giubileo, quando Roma si preparava ad accogliere milioni di pellegrini provenienti da tutto il mondo. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti dell'emergenza. Pochi, infatti, ricordano che la Regione Lazio entrò in regime di emergenza dal lontano 1999, quando a Palazzo Chigi sedeva Massimo D'Alema e al Campidoglio Francesco Rutelli. Come a dire: la crisi è bipartisan, non fa differenze di colore politico. La motivazione ufficiale che spinse alla decisione fu la necessità di potenziare e allargare l'impiantistica di allora. Che, a conti fatti, non è molto diversa da quella di oggi: i rifiuti di Roma e provincia (nonché quelli di Città del Vaticano, oltre ai rifiuti areoportuali di Ciampino e Fiumicino) vengono portati quasi tutti nell'immensa discarica di Malagrotta, che da oltre trent'anni a questa parte ha inghiottito immense quantità di pattume non trattato, il cosiddetto “tal quale”. Procedura espressamente vietata dall'Unione Europea con direttiva del lontano 1990, recepita dall'Italia col decreto legislativo 36/2003. Ma tant'è: quella che nel 1987 venne dichiarata discarica priva di autorizzazioni dalla Procura di Roma (“salvata” nel 2001 dall'allora presidente della Regione Francesco Storace) continua a funzionare in proroga: ogni giorno vengono sversate 5000 tonnellate di immondizia (ci ripetiamo: non trattata!). Nella Regione Lazio, secondo il rapporto Ispra 2011, il totale dei rifiuti prodotti si aggira sui 3.344.000 di tonnellate annue, di cui circa 2.500.000 sono prodotte a Roma e Provincia. «Chi guadagna è presto detto – scrivono Manuele Bonaccorsi, Ylenia Sina e Nello Trocchia nel loro libro “Roma come Napoli” – Manlio Cerroni. L'avvocato guarda la politica incapace e ingrassa, aumentando il suo business». Chi ci perde è la popolazione del posto: secondo i dati Ispra del 2011, i 40mila cittadini residenti nell'area devono sopportare un aumento del 15 percento oltre il normale delle polveri sottili, oltre all'inquinamento dei terreni e dei corsi d'acqua, dovuto allo scorrere del percolato, il pericoloso liquame che si forma dalla frazione umida non trattata.
DISCARICA ADRIANA – Il capitolo Cerroni è di fondamentale importanza per capire l'entità e le motivazioni dell'emergenza rifiuti nel Lazio. Un privato, proprietario di svariati terreni nel circondario di Roma, da Malagrotta alla Valle Galeria, da Testa di Cane a Monti dell'Ortaccio, fino alla stessa Riano. Corcolle, dove il prefetto Pecoraro continua [quote|left]Filiberto Zaratti|La Regione ha scelto i siti per le discariche sulla base delle domande inviate dai privati, proprietari di quei terreni[/quote]a insistere, dopo aver firmato anche le ordinanze di esproprio dei terreni, è di proprietà di una società anonima svizzera, di cui il prefetto non ha mai esplicitato i proprietari, ma solo i rappresentanti legali, la famiglia elvetica dei Planner. Insomma: parliamo di un terreno, proprietà di un privato di cui non conosciamo nemmeno l'identità. E non stiamo discutendo di un'area qualsiasi: a meno di un chilometro di distanza si staglia Villa Adriana (che, giova ricordarlo, è bene Patrimonio dell'Umanità secondo l'Unesco). Non solo: ad ancora minor distanza sorge l'acquedotto dell'Acqua Marcia, che ancora oggi porta l'acqua nelle case dei romani. Un contesto dove, a pensar male, si farà peccato ma forse ci si azzecca. L'idoneità del sito, come spiega il consigliere regionale di Sel Filiberto Zaratti, è stata comprovata «tramite un elenco che i privati hanno inviato alla Regione, che ha poi vagliato il tutto sulla base di queste domande». In parole povere: Polverini e soci hanno scelto tramite gli studi effettuati dagli stessi proprietari del terreno (che hanno tutto l'interesse a impiantare discariche visti gli ingenti introiti che la cosa comporta) invece che dai tecnici della Regione. Controllati e controllori, insomma, sono gli stessi. Ed ecco voi una Villa Adriana trasformata in sversatoio per i nostri scarti.
DIFFERENZIATA: QUESTA SCONOSCIUTA – Qualcuno potrebbe domandarsi: ma la raccolta differenziata? Siamo nel 2012, i progressi che riuso e riciclo hanno compiuto sono enormi. La stessa nozione di “rifiuto”, in alcune città europee, sembra essere superata. Non a Roma, dove la storia ci insegna che l'emergenza conviene più del riciclo. Per un semplice motivo: trasferire i rifiuti, a Malagrotta come in qualsiasi altra discarica, conviene molto di più che investire su impianti di compostaggio e trattamento. Questo perché Cerroni ha sempre tenuto molto bassi i costi del conferimento: parliamo di 70 euro a tonnellata, a fronte dei 120-130 di media registrata nelle città del Nord Italia. La differenziata, quindi, resta al palo, lontana, lontanissima, da quel 65 percento vagheggiato dal Piano Rifiuti della Regione Lazio varato il 18 gennaio 2012 dalla giunta Polverini. Ad aumentare sono solo le discariche, di riciclo, riuso e strategia “Rifiuti Zero” manco a parlarne: il Lazio è inchiodato a un misero 15 percento, mentre le strutture per il trattamento funzionano a scartamento ridotto. L'impianto di compostaggio a Maccarese, l'unico che serve la Capitale, riceve 130 tonnellate di rifiuti al giorno, ma può trattarne solo 80. Tutto il resto in discarica, senza distinzione tra frazione secca e umida. Un pericolo enorme per la salute di chi in quei posti ci abita, tra fiumi di percolato e laghi di liquami che fuoriescono da Malagrotta e inquinano i terreni circostanti. Lo stesso “esperimento” si voleva ripetere a Corcolle, fra colline e campi coltivati, fra distese boschive e presidi di agricoltura biologica, fra reperti archeologici e acquedotti. Un disastro per la salute, l'economia e il turismo del posto. Eppure il prefetto Pecoraro e (salvo il ripensamento dell'ultim'ora) anche il premier Mario Monti hanno avallato la scelta del sito, con il ministro dell'Ambiente Clini, il suo collega ai Beni Culturali Ornaghi e il sindaco della Capitale, Gianni Alemanno, a fare da contraltare, dichiarandosi fermamente contrari alla “Malagrotta 2” di Corcolle. Il primo ministro, in una nota, auspicava che il commissario si assicuri che nella discarica finiscano solo rifiuti già trattati, salvaguardando così la qualità dell'aria e della falda acquifera. Viste le scelte a dir poco dissennate che hanno, nel giro di trent'anni, distrutto Malagrotta, qualche perplessità era lecito lecito averla.
PECORARO DIMESSO, CORCOLLE SALVA? – Questo il quadro che ci ha condotti alla confusione di oggi. Il prefetto Giuseppe Pecoraro, dopo le polemiche seguite alla scelta di Corcolle, rassegna le sue dimissioni, con il Consiglio dei Ministri che affida la carica di Commissario a Goffredo Sottile. Il Cdm, in particolare, ha parlato di "responsabilità" cronica da parte dell'amministrazione capitolina nell'affrontare il problema del post-Malagrotta. Le dimissioni di Pecoraro, ad ogni modo, prefigurano anche nuovi scenari per quanto riguarda la scelta del sito temporaneo. Corcolle, come conferma il ministro dell'Ambiente Corrado Clini dopo il vertice a Palazzo Chigi, sembra un'ipotesi ormai tramontata: «La valutazione che avevamo già anticipato, così come quella del Ministero ai Beni Culturali, è stata accolta dal Cdm». Clini e Ornaghi, infatti, si erano detti contrari fin da subito all'ipotesi che l'area di Villa Adriana venisse trasformata nella "Malagrotta 2" di Roma. Adesso non resta che attendere gli ulteriori sviluppi: il tempo stringe, Malagrotta è ormai satura, e le strade della Capitale sono sempre più a rischio emergenza.