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Così la ‘ndrangheta voleva uccidere Giulio Cavalli. La videotestimonianza di un pentito

Luigi Bonaventura descrive l’attentato che la ‘ndrangheta ha pianificato per uccidere Giulio Cavalli. Un finto incidente per togliersi da mezzo uno “scassaminchia” che da anni si batte contro la mafia e per questo è costretto a vivere sotto scorta.
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La ‘ndrangheta voleva uccidere Giulio Cavalli non appena gli fosse stata tolta la scorta. E' quanto testimonia in esclusiva a Fanpage Luigi Bonaventura, pentito della cosca Vrenna-Bonaventura. Un pentito "pesante", che grazie alla sua testimonianza ha portato all'arresto di oltre 130 membri di quella che è la più importante cosca di Crotone nel corso dell'operazione Heracles coordinata dal dott. Pierpaolo Bruni della DDA di Catanzaro. La sua ndrina opera da 60 anni sul territorio e, anche grazie ad alcuni matrimoni, domina il crotonese. Nel corso dell'intervista Bonaventura non ha mai perso il filo del discorso, ha sviscerato fatti ed eventi che conosce da dentro. Luigi Bonaventura ha parlato anche delle responsabilità della ‘ndrangheta sulla morte di Elena Maniera, figlia di Felice Maniero: "Non s'è suicidata".

Sull'attentato a Cavalli il pentito ha raccontato come una jeep – o un camion – avrebbero dovuto investire l'artista non appena il servizio di tutela gli fosse stato revocato.

Un servizio di scorta che tutela Cavalli dal 2008 e che, in seguito alla testimonianza di Bonaventura, si scopre stava per essere revocato "per errore". Un cavillo, una mancanza di comunicazione tra Lodi e Roma rischiava di lasciare Cavalli senza scorta. Una "dimenticanza" per la quale Cavalli non avrebbe più dovuto afferire a Lodi per la sua protezione ma nella Capitale. In altri termini a Lodi avrebbero revocato la scorta perché non più domiciliato senza, però, avvertire Roma e, lasciando, de facto, Cavalli scoperto di lì a poco.

"Ho sentito parlare anche di un Prefetto". Una "dimenticanza" che la ‘ndrangheta era pronta a sfruttare attraverso un finto incidente.  Una scelta che avrebbe consentito di far passare l'accaduto come mero fato. Una scelta più sicura – secondo quanto racconta Bonaventura – dell'eventualità di farlo morire d'overdose con una siringa piantata nel braccio; un'ipotesi che sarebbe però stata scartata in quanto Cavalli non è un consumatore di droga e questo sarebbe emerso dalle analisi autoptiche. Pertanto la strada del finto incidente sarebbe stata quella più "semplice". Un camion rubato avrebbe dovuto investire Cavalli "in una strada già concordata" e l'autista sarebbe dovuto scappare via e "magari sarebbe passato come uno che ruba un camion, fa un incidente e scappa". Lo volevano uccidere "perché era uno scassaminchia", "non si faceva i c… suoi", perché "andava ai processi". Un'eventualità già emersa nella testimonianza di un carabiniere che già nel 2011 parlava di "un incidente a Cavalli" proprio nell'anno in cui l'allora Prefetto di Lodi voleva revocare la scorta all'artista che ha avuto l'idea di "portare l'antimafia in teatro".

La testimonianza colpisce per la lucidità con la quale Bonventura racconta come Cavalli "non sarebbe potuto morire per mano della ‘ndrangheta perché se ne sarebbe fatto un martire", di come ci fosse la necessità di "delegittimarlo"; ma ancora di più colpisce quel suo incedere sulla lingua parlata dagli organizzatori dell'attentato: "parlano tutti in italiano senza accento", parole crude che vogliono sottolineare come la ‘ndrangheta, ormai, non sia più un fenomeno del sud capace di attecchire al nord ma un vero e proprio cancro i cui membri sono parte integrante della società lombarda.

Le reazioni. Sonia Alfano: "Mi auguro che venga immediatamente verificato dalle autorità competenti quanto dichiarato da Bonaventura, e se corrisponde al vero innalzare il livello di protezione nei confronti di Giulio Cavalli, per il pericolo imminente per la vita di Giulio e per la vita della sua famiglia. Alla luce della spending review sarebbe opportuno tagliare la scorta a politici e giornalisti e altre personalità che godono di tutele sembra più per accompagnamento che
per motivi di sicurezza e darla o innalzarla, nel caso di Cavalli, a persone che rischiano. Le autorità competenti devono verificare immediatamente e agire anche nei confronti di Bonaventura".

Ingroia. "Le organizzazioni mafiose hanno la memoria lunga, spesso è lo stato che ha la memoria corta. Bisogna tenere sempre la guardia molto alta, gli uomini esposti sono tanti, non solo nella magistratura ma anche nel mondo dell'informazione, della cultura e della politica. In una situazione del genere il pericolo si diffonde, si guarda anche chi denuncia e bisogna tenere in considerazione altri pericoli. Non sono a conoscenza delle modalità di protezione di Bonaventura, certo tocca alle autorità preposte farlo ed è bene che sia tenuto una alto livello di protezione"

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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