Uno dei temi ricorrenti della lunga campagna elettorale per il referendum costituzionale del 4 dicembre è certamente quello del “futuro del Governo Renzi” nel caso in cui gli italiani bocciassero la riforma. La questione trae origine dalla cosiddetta “personalizzazione del referendum”, che sarebbe (il condizionale è d’obbligo) uno degli errori più gravi commessi dal Presidente del Consiglio in questa campagna elettorale.
“C’è un bivio decisivo, fra l'Italia che dice sì e quella che dice sempre no. E per questo faremo una gigantesca campagna porta a porta per convincere gli italiani a dire sì. Io girerò come un globetrotter, noi gireremo come dei matti, ma non saremo noi a vincere questa battaglia, dovete essere voi a mobilitarvi. Io non cambio idea, se perdo vado a casa, perché la rottamazione vale anche per me”.
Così parlava Renzi nel maggio scorso e il discorso, tutto sommato, è ancora valido. Perché, senza girarci troppo intorno, siamo sempre lì: se Renzi perdesse il referendum, lascerebbe la poltrona di Palazzo Chigi. Lo ha detto, ripetuto, ribadito troppe volte per rimangiarsi la parola.
[I puristi obietteranno sulla promessa di “abbandonare la politica”, ma sul punto Renzi ha ammesso di aver commesso un errore]
Partiamo da qui, allora. E proviamo a immaginare cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi, senza catastrofismi, iperboli, complottismi e via discorrendo. Chiarendo un concetto: gli allarmismi sono piuttosto ingiustificati, dall'una e dall'altra parte, considerando che l'eventuale instabilità è frutto di scelte che col referendum c'entrano poco, in particolare in tema di legge elettorale e "gestione" delle alleanze politiche. Teoricamente non c'è nessun motivo per cui un Governo in carica debba dimettersi o modificare la propria composizione dopo una decisione dei cittadini sulla riforma della Costituzione.
Mettiamo il caso che il No vinca il referendum, la percentuale non è importante (o meglio, lo è per altri motivi). Renzi rassegna il mandato, lasciando Palazzo Chigi. Non subito, ovviamente. Questo è il primo aspetto da considerare. Le dimissioni non possono arrivare subito, con il Parlamento impegnato nella discussione della legge di bilancio e successivamente nel Milleproroghe. Provvedimenti essenziali, cui il Governo non può in alcun modo sottrarsi. Non è escluso che questa transizione possa essere in qualche modo legittimata dal Presidente della Repubblica Mattarella, dopo un giro di consultazioni. E non è nemmeno escluso che Renzi possa provare a riformare "prima" la legge elettorale, sanando la discrepanza fra Camera e Senato.
Dopo le dimissioni di Renzi, la strada obbligata è quella delle consultazioni. Mattarella chiamerà al Colle i leader dei partiti politici e valuterà se ci sono le condizioni per formare un nuovo Governo. Da quello che sappiamo, è possibile fare qualche previsione: il MoVimento 5 Stelle si dichiarerà indisponibile a dare il proprio sostegno a qualunque tipo di esecutivo e chiederà l'immediato ricorso alle urne; la Lega Nord farà più o meno lo stesso; Forza Italia si dichiarerà disponibile al "ritorno delle larghe intese", anche con Renzi a Chigi, spingerà per un Governo istituzionale (Grasso) e manifesterà un certo interesse per la soluzione tecnica (Padoan, magari); Sinistra Italiana chiederà il ritorno alle urne; centristi e gruppuscoli vari ribadiranno la necessità di terminare la legislatura.
La palla sarà comunque in mano al PD. I democratici saranno in ogni caso decisivi, dal momento che senza il loro voto non c’è alcuna possibilità che si formi un altro Governo e la strada obbligata resterebbe quella del ritorno alle urne. Proviamo ad analizzare una serie di scenari possibili, a questo punto.
Governo di transizione o di scopo. È una delle opzioni in campo, dettata da una sola necessità: la riforma della legge elettorale. Come noto, l'Italicum vale solo per la Camera dei deputati, dunque, in caso voto anticipato e di bocciatura della riforma, per il Senato si utilizzerebbe il cosiddetto Consultellum, una legge elettorale su base proporzionale (a livello regionale) che molto difficilmente (per usare un eufemismo) potrebbe assegnare la maggioranza dei seggi a uno degli schieramenti in campo.
Per evitare il voto con due leggi elettorali diverse, dunque, si dovrebbe approvare una nuova legge elettorale. Della questione potrebbe incaricarsi un "governo di scopo", di formazione politica o istituzionale, sostenuto da larghe intese in Parlamento. Tale opzione sarebbe fortemente caldeggiata da Forza Italia e dalle componenti centriste di maggioranza e opposizione, mentre M5s, Lega e Sinistra Italiana si sono più volte detti indisponibili. Tutto dipenderebbe dal Pd, a quel punto. I democratici, però, si troverebbero a dover sostenere il peso di scelte impopolari, con l'ennesimo Governo frutto di una manovra di palazzo, su una materia complessa e sulla quale non c'è alcun accordo. Politicamente per Renzi sarebbe un suicidio, che aprirebbe praterie alle opposizioni e determinerebbe un ulteriore spostamento di voti verso M5s e Lega Nord. Senza peraltro avere alcuna garanzia sulla possibilità di cambiare davvero la legge elettorale. Difficile che il segretario del PD accetti una prospettiva del genere, a parere di chi scrive.
Secondo alcuni analisti, ci sarebbe invece la possibilità di un Governo semi-tecnico, che traghetti il Paese a elezioni nella primavera del 2018 o nell'autunno del 2017. E che potrebbe entrare in carica praticamente subito dopo l'approvazione della legge di bilancio. Il nome che in molti fanno è quello di Pier Carlo Padoan, che si occuperebbe di continuare l'agenda dell'esecutivo attuale, potendo contare su un sostegno identico o addirittura più ampio in Parlamento. Anche in questo caso, però, l'ostacolo resta sempre lo stesso: la legge elettorale. In tal senso, l'unico sentiero percorribile sembra la correzione "alla greca" dell'Italicum, con una riduzione del premio di maggioranza e la ridefinizione dei collegi (in funzione "anti M5s", ovviamente). Sarebbe la via d'uscita più "soft" dalla crisi.
La terza opzione è quella del ritorno alle urne, anche con due leggi diverse per Camera e Senato. È uno scenario – limite, considerando che da calcoli e simulazioni appare evidente come il Senato non sarebbe governabile, per effetto del Consultellum, la legge elettorale "in vigore" dopo le sforbiciate della Consulta al Porcellum. Ma non è da escludere che, saltata anche ogni trattativa su una legge elettorale – ponte, si vada subito al voto (febbraio?). Cosa succede a quel punto? Sinteticamente:
Scenario A: Pd, con Renzi candidato (dopo congresso PD), vince il ballottaggio e prende il premio di maggioranza alla Camera. Al Senato, nessuna possibilità di farcela da soli. Dunque, Renzi ha bisogno di trovare un accordo in Parlamento. Con chi? A – a: i voti dell'attuale maggioranza sono sufficienti a ottenere maggioranza dei seggi al Senato (molto improbabile), Governo Renzi – Alfano – centristi di varia provenienza; A – b: a Renzi serve un "aiutino" dai partiti che ora sono all'opposizione, l'alleato "naturale" sarebbe Forza Italia, ma molto dipenderà dalla battaglia interna al centrodestra e da cosa resterà dell'esperimento Parisi: con un centrodestra egemonizzato da Salvini – Meloni – "area Brunetta" sarebbe molto difficile dialogare; A – c: non bastano nemmeno i voti dei forzisti, dunque niente esecutivo a guida PD e si torna di nuovo al punto di partenza.
Scenario B: Il MoVimento 5 Stelle vince il ballottaggio, con premio di maggioranza alla Camera e situazione "in equilibrio" al Senato (difficile, molto difficile, a meno di risultati clamorosi, che possano avere la maggioranza dei seggi anche al Senato). I Cinque Stelle non si alleano con nessuno, dunque è improbabile che riescano a formare un nuovo Governo. Si torna di nuovo al punto di partenza.
Scenario C: Il centrodestra vince il ballottaggio, ma senza avere i numeri al Senato. C – a: a vincere è la coalizione guidata da Parisi, che riesce a ottenere il sostegno di parte del PD per un Governo di scopo che riformi la legge elettorale (una sorta di nuove "larghe intese"). C – b: a vincere è Salvini, che non riesce a ottenere al Senato il consenso per formare un nuovo Governo, né dal Pd, né dal M5s (che non si allea, come ripetuto decine di volte); si torna di nuovo al punto di partenza.
Cosa succede se vince il Sì
Renzi ha smentito oggi la possibilità che si vada a elezioni anticipate in caso di vittoria del Sì al referendum. Si vota a fine legislatura, dunque. Ma non è da escludere che il Presidente del Consiglio scelga la strada del rimpasto di Governo, rafforzando ulteriormente la propria componente, in modo da preparare il terreno delle politiche del 2018. Con un passaggio essenziale: i "correttivi" alla legge elettorale, cambiando l'Italicum nei punti ritenuti più "rischiosi".