"Noi abbiamo una cultura differente, il concetto di famiglia rimane uno dei valori dell'azienda. La nostra è una famiglia tradizionale, se a loro non piace la nostra pasta e la nostra comunicazione possono mangiare un'altra pasta". Queste parole, pronunciate da Guido Barilla ai microfoni de La Zanzara, hanno scatenato una valanga di polemiche. Anche a ragione, sia chiaro, dal momento che come scrive Ciro Pellegrino, evidentemente, l'idea cha ha Barilla dell'omosessualità richiama anni bui. Una lettura che però non mi convince del tutto. Per una ragione semplice: la libertà d'espressione o è valore assoluto, oppure semplicemente non è.
O ammettiamo che una persona sia libera di esprimere le proprie opinioni, oppure ci arroghiamo il diritto di stabilire, di volta in volta e non si sa sulla base di quale costruzione valoriale, cosa è "giusto" e cosa non lo è, cosa è degno e cosa invece merita indignazione. O giudichiamo lecito sbilanciarsi in giudizi di ogni tipo su ogni argomento dello scibile umano, ma guai a toccare il tasto delle scelte sessuali, oppure proviamo a ragionare con calma e ad operare una netta distinzione. Quella che suggerisce Vittorio Zambardino su Wired, ad esempio:
Troppo chiedere che si acquisisca una capacità di distinzione per cui il marketing è un livello della comunicazione e la politica appartiene ad un altro livello. Le parole di un industriale che parla di vendere la pasta alle famiglie – ma anche di una persona che dica: a me non piace avere a che fare con gli omosessuali – non sono "predicazioni di odio". Sono fesserie, non vale la pena "mobilitarsi" per questo. E a stretto rigore sono le idee, legittime, di quella persona.
Ieri non sono riuscito a convincere alcuni giovani interlocutori che un graffito di Forza Nuova che diceva: "La famiglia è quella naturale, stop all'omofollia" era sì moralmente ripugnante ma anche politicamente ininfluente e certo non penalmente perseguibile – oltre che protetto dalla libertà di espressione, che ammette le espressioni ripugnanti. Altrimenti è solo la libertà di dire cose educate e carine.
Se tutto è omofobia, se tutto è maschilismo, se tutto è barbarie, l'orizzonte si fa nero, e non si riesce a capire dove si mette mano alla politica dei diritti. Perché di questo si tratterebbe: legiferare sui diritti delle persone, non sulle parole, no onorevole Scalfarotto?
Senza contare che "a punire eventuali condotte discriminatorie" c'è già la legge. Che, sia detto per inciso, prima della confusione sul ddl omofobia (provvedimento controverso, ma probabilmente, compromesso più che accettabile), già tutelava le discriminazioni, di ogni tipo (poi magari sulla questione della diversità con cui approcciamo le "scelte" individuali occorrerebbe riflettere). E senza contare che, più obiettivamente, quello di Barilla è semplicemente un ragionamento sul product placement. Terra terra, magari. Ma è una pratica che le aziende fanno da anni, decenni, anzi, da sempre. Fingere di scandalizzarsi non cambierà le cose (sempre ammesso che conti).
Non ci piace? Liberissimi di reagire come meglio si creda (anche se la guerra della pasta è un po' ridicola, eh). Come è libero Barilla di fare le sue scelte o di esplicitare il suo pensiero, anche quando si tratta di sciocchezze. E probabilmente questa lo era, una sciocchezza. Ma è discriminatoria come lo è la frase del capo della fabbrica dei biscotti ne I Simpsons: "I crackers sono un prodotto per famiglie. Non sappiamo se anche i single o i gay mangino i crackers. E a dire il vero non vogliamo proprio saperlo".
PS: ovviamente mi tocca un post scriptum. Ed è semplice: non giustifico le discriminazioni dietro l'articolazione del concetto di libertà d'espressione. La discriminazione, quando c'è, va (ed è) sempre punita a norma di legge. Quando c'è, appunto.