Martina: “Combattere il caporalato come la mafia. Expo? Ne siamo orgogliosi”
"Trattare il caporalato come la mafia": ha usato parole forti il Ministro Maurizio Martina dopo le ultime morti estive che, come tutti gli anni, hanno svelato la disumanità di una filiera alimentare che occupa lavoratori in nero e a condizioni di lavoro impossibili. Tutto nell'anno di EXPO che vorrebbe, oltre che essere un'esposizione, anche il motore di un rinnovamento legislativo internazionale. Abbiamo intervistato il Ministro per capire quali saranno i provvedimenti futuri e intanto abbiamo parlato di Pd, di Milano e del quadro politico che verrà.
Con le sue ultime dichiarazioni in cui ha equiparato il caporalato ad un delitto per gravità pari alla mafia si è acceso un dibattito pubblico su un fenomeno a lungo sottovalutato. Eppure è dal 1980 che si pensa a soluzioni legislative fino ad arrivare all’introduzione del 603bis del codice penale. Cosa e come si potrebbe fare di più?
Il caporalato è una piaga antica e inaccettabile. Abbiamo libri di storia pieni di pagine scure e oggi sta assumendo forme nuove, intrecciandosi drammaticamente anche con il fenomeno dell'immigrazione. Serve un salto di qualità nella risposta, per questo dico che va combattuto come la mafia. Con interventi legislativi, penali, amministrativi, ma anche con un cambio di mentalità. Va distrutto il muro di gomma che avvolge troppo spesso queste situazioni.
Con quali strumenti il Governo intende combattere il fenomeno?
Con un lavoro serio, organico, stabile e coordinato che vada oltre la gestione dell'emergenza. Nel 2014 abbiamo fortemente voluto uno strumento di contrasto al lavoro nero come la "Rete del lavoro agricolo di qualità", dove abbiamo portato un'innovazione di metodo senza precedenti. Per la prima volta abbiamo creato una Cabina di regia permanente tra istituzioni, sindacati, confederazioni agricole e i soggetti della filiera. Aumento dei controlli, azioni di prevenzione e norme più dure sono tre passi necessari.
Quali sono le azioni in vista?
Entro 15 giorni presenteremo un piano di misure studiate dalla Cabina di regia della "Rete", abbiamo già rafforzato i controlli sul campo insieme al Ministro del Lavoro Giuliano Poletti e lavoriamo a task force territoriali che siano ancora più efficaci. Dal primo di settembre la "Rete" sarà operativa. E le aziende virtuose potranno certificare sotto il profilo qualitativo il loro lavoro. Nel vertice del 27, poi, abbiamo proposto a tutti i soggetti in campo un patto di responsabilità. Serve l'impegno di ognuno. Da parte nostra siamo al lavoro anche con il Ministro Orlando per aggredire i patrimoni di chi sfrutta, con strumenti come la confisca dei beni, e per garantire assistenza legale ai braccianti che denunciano.
A proposito della percezione del fenomeno: non trova che limitare il fenomeno al sud (quando anche una recente di Slowine, solo per citare un esempio, ha svelato l’impiego di forza lavoro macedone nelle langhe piemontese) rischia di limitare la giusta percezione del fenomeno solo al sud. Come la mafia, appunto, non rischiamo di arrivare tardi al Nord?
Guai a banalizzare o restringere il campo di azione, questa è una piaga che non riguarda solo il Sud. La guerra al caporalato interessa qualsiasi territorio dove si verifichi lo sfruttamento. Va detto anche che ci sono migliaia di imprese agricole che in tutta Italia operano nella legalità e nel rispetto della dignità delle persone impiegate. Così come ci sono centinaia di migliaia di lavoratori stranieri che lavorano in regola e con diritti garantiti. Dobbiamo intervenire su quelle sacche di lavoro nero che non devono essere più tollerate.
Si continua a raccontare il caporalato come un fenomeno avulso ai processi economici. Come si può pensare di arginare il fenomeno con la GDO che negli ultimi vent’anni èpassata dal 50% al 72% del mercato mentre il dettaglio è crollato dal 41 al 18%? Non è il caporalato anche il risultato di un capitalismo che chiede prezzi sempre inferiori per poter rimanere nella filiera se è vero che anche l’antitrust dichiara in una recente ricerca che la GDO è in grado di esercitare uno smisurato buyer power (potere contrattuale negli acquisti) nei confronti dei propri fornitori e che questi fornitori (o subfornitori) a loro volta, scaricano sui lavoratori le conseguenze del loro risicato margine di profitto. In diverse filiere, come quella del pomodoro, “la presenza di un gran numero di lavoratori vulnerabili e disponibili a salari bassi [… consente] a molte aziende di reggere alla crescente pressione sui prezzi dei prodotti agricoli operata da commercianti, industrie conserviere e catene della grande distribuzione organizzata”?
Il caporalato non può avere nessun tipo di giustificazione. Nessuno deve pensare che si possano cercare margini economici attraverso la violazione dei diritti dei lavoratori. Detto questo non ci nascondiamo il problema del reddito dei produttori agricoli. È una delle nostre priorità assolute e non è un caso che nell'ultimo anno e mezzo il Governo abbia fatto due decreti urgenti a favore delle imprese agricole. Da mesi portiamo avanti un lavoro serrato per semplificare le norme, aggregare l'offerta, migliorare i rapporti di filiera. Così come non è accettabile un salario da miseria per i braccianti, allo stesso modo prezzi di vendita dei prodotti sotto i costi medi di produzione sono un problema che va risolto. Su alcune filiere abbiamo chiesto anche all'Antitrust un intervento di verifica, perché così non va.
Oltre al problema dei “caporali” esiste anche un evidente problema di legalità: condizioni di lavoro asfissianti, sottopagati, senza nessun contratto. Qualcuno propone il “voucher”come soluzione ma non si rischia di permettere una semplice sistemazione “di facciata”peggiorando addirittura la situazione dei lavoratori senza documenti?
Nella riunione operativa con Poletti e i sindacati abbiamo discusso anche di questo, soprattutto di come evitare che si faccia un uso distorto dei voucher. La tutela della salute e della sicurezza del lavoratore è un principio non trattabile.
Veniamo a Expo, un primo bilancio?
Molto positivo. Expo si sta dimostrando un'occasione formidabile per il nostro Paese, anche sotto il profilo della politica estera. Più di 50 capi di Stato e di Governo sono venuti a Milano per dare il loro contributo su un tema chiave come la sicurezza alimentare. La partecipazione della gente, poi, è la più bella immagine che stiamo dando al mondo. Famiglie, ragazzi, tantissimi stranieri, stanno vivendo con coinvolgimento questa Esposizione universale, con un'attenzione forte ai contenuti. Lo dimostrano più di 500mila firme sulla Carta di Milano, il documento di impegni dal basso che coinvolge cittadini, associazioni, imprese e istituzioni sul diritto al cibo. Il 26 settembre la presenteremo a New York nei giorni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che si riunirà proprio per aggiornare gli obiettivi del Millennio contro la fame.
EXPO sta esportando davvero l’immagine di un’Italia competitiva?
Expo sta dimostrando che l'Italia è all'altezza di sfide internazionali di questa portata. Dobbiamo esserne orgogliosi. E poi sta aiutando a esportare Italia nel mondo: nei primi sei mesi del 2015 le nostre esportazioni agroalimentari hanno sfiorato i 18 miliardi di euro. Un record assoluto. A maggio e giugno abbiamo visto incrementi di oltre il 20% su mercati strategici come gli Stati Uniti. L'effetto Expo c'è e si sente.
Non potrebbe EXPO essere una buona occasione perché l’Italia (come la Francia) pensi ad interventi legislativi (se non addirittura all’introduzione di un reato specifico) per lo spreco alimentare? E’ possibile ipotizzare un intervento del Parlamento oltre ai protocolli?
Proprio a Expo abbiamo presentato "SprecoZero", un intervento organico ora all'esame del Parlamento. Voglio però rivendicare il grande lavoro fatto dall'Italia su questo fronte negli ultimi anni. La Francia inizia oggi e affrontando la questione dal lato penale. Noi abbiamo già numeri importanti sul recupero e puntiamo sugli incentivi a non sprecare. Già oggi 550mila tonnellate di eccedenze, cibo ancora perfettamente commestibile ma non più in vendita, vengono recuperate dalla filiera e donate agli indigenti. Entro il 2016 vogliamo arrivare a 1 milione di tonnellate, rendendo più vantaggioso per le aziende donare che sprecare. Al Ministero dell'Agricoltura abbiamo reso operativo un "coordinamento per l'aiuto degli indigenti" con gli enti caritativi, grandi protagonisti di questa esperienza, la grande distribuzione e l'industria alimentare che lavora in maniera permanente su come rafforzare il recupero e l'assistenza a chi ne ha bisogno.
Governo. Politicamente lei è sempre stato un uomo delle mediazioni piuttosto che “di scontro”. Non pensa che le fuoriuscite dal PD e lo scontro con le minoranze possa interferire nella percezione di unità del Governo? Come concilia questa sua predisposizione così diversa nei modi dal Presidente Renzi?
Sono sempre stato convinto che uno dei punti di forza del PD sia proprio quello di fare convivere unità e pluralità. Io mi spendo con passione per come posso per unire. L'Italia ha bisogno di un PD unito e consapevole della responsabilità che ha su di se. Cambiare il Paese non è una passeggiata.
Lei era responsabile regionale del partito quando Pisapia ha riportato Milano al centrosinistra, ora i tempi sembrano essere molto diversi e addirittura alcune voci autorevoli negano la possibilità che ci siano eventuali primarie. Cose ne pensa?
Penso che il PD a Milano, insieme al centrosinistra e alle forze civiche della città, possa lavorare bene a un progetto ambrosiano che guardi al 2020. Gli anni che abbiamo alle spalle guidati da Pisapia sono stati proficui, la città è migliorata. Oggi è la punta di diamante dell'Italia. Il PD deve interpretare ancora la sua funzione di soggetto aperto e dialogante, unendo le migliori forze della città. Il candidato sindaco deve svolgere innanzitutto questa funzione. Penso che ci siano tutte le condizioni per fare bene.