Amina Araf, la blogger siriana troppo intelligente per essere libera
Rinuncio alla forma.
Rinuncio ad un secco stile giornalistico.
Rinuncio all'asettico distacco della cronaca che esalta l'obiettività dimenticando l'umanità.
Rinuncio in nome di un dolore che dovrebbe essere universale e non è.
Rinuncio perché sono un essere umano, perché sono donna. E questa notizia mi ha ferito. Dovrei nascondermi dietro un'asettica e misurata narrazione dei fatti? Dovrei. Eppure non posso.
Amina Abdallah Araf è bella da fare paura. Come lo erano Taraneh Mosavi e Neda Agha Soltan: libere, intelligenti, belle e morte. Morte per mano di uomini impauriti, barbari, governati dalla confusione e dall'orrore per il cambiamento; dominati dalla paura che ad un'affermazione piena delle femminilità debba necessariamente seguire un avvilimento della mascolinità, come se il solo fatto che una donna decida, si esprima, pretenda e rivendichi sia (di per sé) pericoloso per il mantenimento di uno status quo che li vede ben saldi al potere, a dispetto di un'ormai sempre più evidente inettitudine.
Qualcuno dovrebbe dir loro che è per merito del cambiamento se oggi si muovono su due zampe e non quattro, se riescono ad afferrare oggetti, ad elaborare soluzioni ai problemi… Peccato che la qualità della soluzione elaborata dipenda dall'avanzamento del livello di evoluzione, e chiunque manifesti con la violenza e l'oppressione i propri sentimenti non è nulla più che un essere primitivo. Punto.
Amina spaventava a morte quei poveri, piccoli uomini che non sanno come relazionarsi alla donne, alla loro forza, alla loro impudente bellezza e perciò cercano di ferirne il corpo, nella speranza di possederne lo spirito, come credevano di poter fare ai tempi in cui essere femmina significava essere pura appendice di un uomo: sia esso padre o marito. Ma quei tempi sono finiti. In ogni parte del mondo si levano voci di donne libere che chiedono giustizia e autodeterminazione, così com'è sancito nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Amina è una blogger dalla doppia nazionalità (siriana e statunitense). Era tornata a Damasco da poco con l'intento di scrivere un romanzo autobiografico, poi è scoppiata la rivoluzione e il suo spazio web –A Gay Girl in Damascus– da quando la Siria è diventata teatro di terribili scontri tra il regime e i dissidenti ha raccolto ancor più visite che in passato, diventando in qualche modo centro del dibattito e della resistenza di quanti non hanno voluto restare in silenzio a recitare la parte delle vittime, lasciandosi sopraffare dalla propria (drammatica) condizione. Ma il suo blog era anche un'insostituibile fonte di notizie per tutte le maggiori testate del mondo che, grazie al suo impegno, potevano tenere gli occhi ben aperti su quanto accadeva in Siria. Lesbica dichiarata, ostile al regime di Damasco, credente mussulmana, lo scorso lunedì mattina Amina è stata avvicinata da tre uomini armati, è stata rapita e da allora non si hanno sue notizie. Desaparecida. Il regime tace e i familiari temono il peggio: la deportazione in un luogo sconosciuto e in cui diosolasa cosa l'attende. Al momento del sequestro, uno dei tre rapitori le ha premuto una mano sulla bocca e l'ha spinta di forza in una Dacia Logan rossa, lo ha riferito la cugina di Amina -Rania O. Ismail- testimone dell'accaduto ma, da allora più niente. Le autorità tacciono e in tutto il mondo monta l'angoscia per la giovane vita di questa donna coraggiosa.
Lo scorso 26 aprile, il padre di Amina ha fronteggiato e scacciato due agenti governativi arrivati in casa della ragazza per arrestarla. Minacciarono di violentarla e l'accusarono di essere coinvolta in un complotto salafita. Ma l'unico delitto compiuto da Amina è stato quello di scrivere e raccontare la verità, criticando il regime attraverso il riso e la poesia, provando a cambiare le cose, ridicolizzando un potere che sa di aver torto, e per questo urla, violenta, picchia, reprime.
Una donna è stata sequestrata: non è la prima e non sarà l'ultima. Una donna colpevole di essere intelligente, lesbica, bella, indipendente e desiderosa di liberare se stessa e gli altri dai legacci di una morale violenta e retrograda che la vorrebbe silenziosa e obbediente, schiava felice e ossequiosa. L'hanno sequestrata, e vi prego di provare ad immaginare l'impronunciabile violenza di cui viene fatta oggetto in questo stesso momento. Ammesso che sia ancora viva. Non è difficile, vero, immaginare? E allora, sulla base del rigurgito di rabbia che accompagna l'immaginazione di una simile bestialità non dovrebbe essere difficile muoversi, agire, fermare questo scempio, indignarsi.
Indignatevi perché un'altra anima sta per essere stropicciata nel tentativo di piegarne la volontà. Perché ritengono sia necessario "raddrizzare l'invertita", perché dovrebbe tacere e limitarsi ad aderire non già a ciò che è, ma a ciò che deve essere per volontà dell'uomo padrone. Pena la morte. Senza possibilità di scelta.
Pensate a voi stessi.
Che cos'è che amate? La musica? Bene, pensate ad un mondo in cui non solo è fatto divieto di ascoltarla, ma in cui la disobbedienza a questo precetto si paga con la vita. È solo un caso, un mero capriccio del destino se ora è un paese lontano a mettere sotto accusa le scelte d'amore di una donna libera, ed è solo un caso se la ristrettezza mentale di certi uomini li ha portati all'odio verso un'inclinazione sessuale piuttosto che verso, che so, una preferenza culinaria! Ma sarebbe utile ricordare che la nostra stessa terra ha ospitato una terribile caccia alle streghe in cui donne innocenti venivano trafitte, torturate, arse vive, violentate… Una caccia che altro non era se non l'insensata persecuzione di donne sole e fiere che volevano vivere come esseri umani completi e non come costole di Adamo, da lui dipendenti e a lui rispondenti.
[Petizione online per liberazione di Amina, Gruppo Facebook di supporto alla causa]
Rumors dell'ultima ora
Nelle ultime ore si sono fatte sempre più insistenti alcuni voci che gettano non poche ombre sul rapimento di Amina. C'è chi sostiene che Amina non sia una donna, chi è convinto che sia una donna ma che "Amina Araf" non sia il suo vero nome, chi è convinto che non ci sia stato nessun rapimento e che sia tutto una montatura. (Ma a che scopo? Mi chiedo). Quel che è certo è che, al momento, non è stato possibile rintracciare né i suoi parenti né alcuno dei suoi amici e conoscenti. Chi l'ha intervistata ha avuto con lei solo contatti telematici e del rapimento si hanno solo notizie di seconda mano fornite dalla "cugina" che ha dichiarato di aver assistito all'arresto e lo ha poi riportato sul blog.
Difficile capire quale sia la verità: è il regime siriano che sta provando a confondere le acque per sviare e disperdere i sostenitori di Amina e o c'è davvero qualcosa che non quadra nella storia della blogger siriana? Quale che sia la verità, quando detto finora non muta di una virgola nella sua sostanza. Che la storia di Amina sia vera oppure no, che il suo nome, il suo sesso, la sua età e la sua estrazione corrispondano a quanto dichiarato importa poco. Qualcuno c'era dietro a quello schermo, era in Siria durante la rivolta, e raccontava al mondo la sua pena… Di storie come questa (e vere com'è vero il mondo) ce ne sono a migliaia: esistono donne (tante, troppe) a cui viene fatto divieto ogni giorno di decidere per se stesse, esistono donne perseguitate e uccise, esistono donne che fanno paura per la loro forza e la loro indipendenza, ed esistono anche uomini (tanti, troppi) a cui viene negato il diritto ad essere chi sono, perché la loro identità non assomiglia a quell'idea distorta e machistica che si ha del maschio, e se queste persone non si chiamano Amina, si chiameranno Taraneh, Norma, Eudy, Makwan… I loro nomi non sono importanti. La loro vita, la loro lotta, i loro diritti sì. Qualunque verità nasconda la storia di Amina, il suo caso resta esemplare, la sua battaglia resta vera, il suo dolore esiste, ed è ovunque nel mondo.
Com'è andata a finire
Dopo qualche giorno di indagine, la storia si Amina Araf è scoppiata e si è rivelata per quello che era: una bufala. Dietro lo schermo del computer non c'era nessuna donna gay siriana, ma un quarantenne statunitense di nome Tom MacMaster, probabilmente a caccia di notorietà.
La triste storia della blogger che da mesi animava il dibattito politico intorno alla rivoluzione siriana era così ben congeniata da trarre in inganno eminenti testate internazionali.
Proprio ieri, l'Huffington Post -tra i primi a cadere in trappola- ha dedicato un lungo commento all'accaduto, sottolineando come, nel caso in questione, si presentassero due alternative per il giornalista: rilanciare una notizia riguardante un evento drammatico occorso in un paese in rivolta e restio alla collaborazione con i media pur senza poter effettuare i necessari controlli sulle fonti, o ignorare la notizia. Molte news, in tutto e per tutto simili a quella di Amina e poi rivelatesi vere, non avrebbero potuto essere raccontate senza uno strappo a questa ferrea regola del giornalismo che prevede l'assoluta certezza della fonte. Ma nel caso di blogger dissidenti celati dietro un nick nel mare magnum della rete per paura delle rappresaglie governative, come si fa? Bisognerebbe ignorarli?
La riflessione sul tema è appena cominciata e non sarebbe onesto trarre già delle conclusioni. Quel che è certo è che quanto detto fin qui -mi ripeto- non cambia di una virgola. Vale per tutte le donne e gli uomini che vivono davvero in condizioni di repressione, e poco importa se -stavolta- un beota dell'ultima ora ha deciso di attirare l'attenzione su di sé gabbando migliaia di persone che si erano strette intorno al suo dolore fittizio.
Evidentemente il soggetto in questione non possiede le necessarie qualità del romanziere e ha tentato di sfondare in modo agile e spicciolo: fingendo di essere qualcuno che non era.
Auguriamoci soltanto che tutto questo non venga strumentalizzato per sparare a zero sul citizen journalism e, soprattutto, non venga utilizzato da governo siriano (o chi per esso) per minimizzare la devastante potenza della sua macchina repressiva. Sempre pronta a tranciare donne fiere e indipendenti che seppure non hanno il volto di un'attraente siriana di nome Amina (rivelatosi poi essere il volto di una donna croata residente a Londra di nome Jelena Lecic), continuano a vivere nelle repressione, da qualche parte, sotto altri nomi, e meritano tutta la nostra attenzione.