I sette fratelli Cervi furono uccisi dai fascisti tre giorni dopo Natale. Era il 28 dicembre 1943.
Se passeggiate per le strade d'Italia, soprattutto al Centro e al Nord, ci sono vie dedicate a loro. Ci sono piazze. Ci sono scuole. Se un bambino ve la chiede, raccontategliela questa storia. E se non ve la chiede raccontategliela lo stesso, la storia dei sette fratelli Cervi, colpevoli di troppo amore e uccisi da coloro che la democrazia e il confronto l'avevano calpestati con la marcia su Roma.
Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore. Sette fratelli con nomi di altri tempi e torturati prima di essere uccisi, a fucilate, nel poligono di tiro di Reggio Emilia.
La storia dei fratelli Cervi è la storia di una esemplare famiglia italiana. Il nonno si chiamava Agostino e fu uno dei capi della rivolta contro la tassa sul macinato, nel 1869. Al potere c'era la Destra storica: Agostino Cervi si ribellò, venne arrestato e chiuso in carcere per sei mesi.
La tassa sul macinato si basava sull'arbitrarietà dei giri del mulino, ma da macina a macina la quantità di prodotto variava, e si finiva per pagare in modo uguale fra differenti. Per questo Agostino Cervi si ribellò. Il Senato dette al generale Raffaele Cadorna pieni poteri per la repressione. E Agostino fu incarcerato. Fine e inizio della storia.
Figlio di Agostino Cervi fu Alcide. E' ragazzino quando aderisce al movimento popolare, influenzato dalla teoria del socialismo umanitario di Camillo Prampolini. Famiglia contadina, lettori appassionati. Nati mezzadri, divennero affittuari. Nati patriarcali due generazioni prima, si organizzarono in case del popolo e sindacati, prendendo le decisioni in forma collettiva. Compresa l'adesione alla Resistenza. Sette fratelli su sette fratelli, e un papà. E una mamma, che in casa dirigeva lavori, spese e idee. In un documento della direzione fascista di Reggio Emilia, recuperato dopo la fine della guerra, la cosa era tanto grande, che accanto alla lista dei sette nomi da ammazzare qualcuno pose una parentesi e la scritta "sette fratelli?" sottolineata di rosso, come dire: siete sicuri di volerli ammazzarli tutti e sette?
I sette fratelli Cervi leggevano libri sull'apicoltura, sulla coltivazone del frumento e la crescita dell'uva. Leggevano anche per piacere, i sette fratelli Cervi, la loro biblioteca casalinga aumentava e ne fecero una pubblica, circolante e gratuita, che partiva da Marx, abbracciava Gramsci, i volantini e l'Unità, che spiegavano e commentavano a voce nelle case dei più poveri. Poi un giorno aderirono alla Resistenza. Li ammazzarono e restarono i semi. La loro storia si riassume così, ma delle storie giuste sono belli anche i dettagli, per questo continuo a raccontarvela.
Nel 1939 i fratelli Cervi comprarono un trattore, furono tra i primissimi, era un mezzo innovativo. Nessuno aveva un trattore. Loro lo comprarono e lo prestarono. E al momento dell'acquisto comprarono anche un mappamondo e ce lo misero sopra. Per dire, i tipi che erano.
Casa Cervi fu un luogo di dissenso contro il fascismo e la guerra, dall'inizio stesso della guerra. Poi, al tempo della Resistenza, formarono la Banda Cervi.
Al cascinale della famiglia Cervi troveranno rifugio antifascisti e partigiani feriti. Prigionieri stranieri scappati dai nazifascisti, come Anatolij Tarassov e il tenente Viktor Pirogov. Entrambi soldati dell'Armata Rossa, racconteranno la loro storia in un libro, intitolato "Sui monti d'Italia", raccontando i sette fratelli Cervi. E poi ancora, nel cascinale, trovano rifugio Misha Almakaièv, Nikolaj Armeiev e Alexander Aschenco. E John David Bastiranse, sudafricano. E Samuel Boone Conley, irlandese. E ancora John Peter De Freitas, sudafricano pure lui.
E poi ci furono gli amici dei Cervi, i componenti della famiglia Sarzi, teatranti e girovaghi, gente di compagnia che dovunque andasse subiva censure ai testi ma continuava con tenacia il suo racconto più importante: "Noi siamo antifascisti". E dopo che il regime sciolse la loro compagnia di teatro continuarono a dire: "Noi siamo antifascisti" e a spiegare perché, e vuoi venire con me. Teatranti nient'affatto solitari, come non lo sono i teatranti e nonostante non ci fosse più la compagnia.
E fu l'accoglienza del cascinale Cervi alla vita, ai feriti e ai resistenti; e furono tutti quei semi sparsi, che non permisero ai fascisti di accontentarsi della morte dei sette fratelli e li spinsero a bruciare la loro casa, ed era già l'ottobre del 1944. Due settimane dopo morì la mamma, Genoeffa Cocconi. Sopravvisse Alcide, papà e marito, e nell'ottobre del 1945 organizzò il funerale per i suoi figli, due anni dopo che erano stati uccisi. E oggi i sette fratelli Cervi riposano al cimitero di Campegine e ogni terra li avrebbe voluti, come dicono le sillabe di una poesia di Salvatore Quasimodo dal titolo "Ai fratelli Cervi, alla loro Italia". E poi, fra le cose belle, anche un'epigrafe di Piero Calamandrei.
Le parole che non hanno bisogno di aggettivi qualificativi, però, restano quelle del papà Alcide Cervi:
"Mi hanno sempre detto (…) tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta (…) La figura è bella e qualche volta piango (…) ma guardate il seme, perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l'ideale nella testa dell'uomo".
Per questo, quando penso alla parola maestro, io penso ad Alcide Cervi.
Per questo, quando penso alla parola fratello, mi vengono in mente i sette fratelli Cervi.
Per questo, quando penso a qualcosa da insegnare ai bambini, nelle scuole italiane, io penso alla storia della famiglia Cervi, la storia di chi stava bene ma scelse di lottare, mettendosi fra il fango e la giustizia, perché non si sta mai davvero bene se non stanno bene anche gli altri.
Viva la famiglia Cervi!